ULTIMO CANTO (Giovanni Pascoli)
Solo quel campo, dove io volga lento
l’occhio, biondeggia di pannocchie ancora,
e il solicello vi si trascolora.
Fragile passa fra’ cartocci il vento:
uno stormo di passeri s’invola:
nel cielo è un gran pallore di viola.
Canta una sfogliatrice a piena gola:
amor comincia con canti e con suoni
e poi finisce con lacrime al cuore.
E’ uno spaccato di vita ormai scomparsa quella che Giovanni Pascoli rappresenta in “Ultimo canto”, poesia che come tanti componimenti in “Myricae”, esprime impressioni della vita contadina di altri tempi. Quello della sfogliatura delle pannocchie è un mestiere del passato cancellato dall’industrializzazione e dal progresso. In questi versi la scena che risalta è quasi idilliaca; la tristezza si muta in malinconia, con una dolcezza di fondo che placa l’animo. Pascoli riesce a descrivere quella malinconia che ancora pochi riescono a provare ai giorni nostri nel ricordare quei riti di vita sociale vissuti nel borgo di San Lorenzo durante la propria infanzia. Erano momenti di lavoro ma nello stesso tempo erano abilmente trasformati dai contadini in momenti di festa e di gioia da condividere con tutta la collettività. La fatica era mitigata con musica, canti e balli. Qualunque lavoro, ed in particolare quello legato ai raccolti era trasformato in una festa propiziatoria ed in un’occasione di aggregazione utile a rafforzare i legami sociali.
L’inizio dell’autunno si presta favorevolmente a questo genere di riflessioni: Pascoli le fa davanti a un campo di granoturco, con le piante ormai secche da cui pendono le pannocchie che una contadina è intenta a raccogliere e a togliere dai cartocci accarezzati da un vento leggero. Il poeta racconta quei colori resi soffusi da un pallido sole autunnale, quel cielo sbiadito che le nuvole rendono viola, quel volo di uccelli improvviso.
La “sfogliatrice”, come tutte le donne a lavoro nei campi, rende meno monotono e faticoso quel lavoro cantando: e la canzone racconta le sofferenze d’amore, nota triste che ben si addice al paesaggio. Il suo canto è l’ultimo a risuonare nelle campagne dove presto, con l’arrivo dell’inverno, comincerà il riposo dei terreni in attesa di una nuova primavera.
Oggi, purtroppo, viene praticata soltanto l’agricoltura intensiva attraverso un sistema di intensificazione e meccanizzazione agricola che mira a massimizzare i rendimenti dei terreni disponibili attraverso vari mezzi, come l’uso pesante di pesticidi e fertilizzanti chimici. Per la raccolta del granturco sono utilizzati macchinari che contemporaneamente lo sfogliano e lo sgranano separandolo automaticamente dagli scarti. Oggi non è un canto che si ode, ma il rombo dei motori nell’aria che puzza di gasolio bruciato.
Nel tentativo di far provare alcune emozioni sopra abbozzate suggerisco la visione di un video che prova a ricostruire alcuni momenti di quella vita passata: